Fu eretto da Carlo I d’Angiò come ringraziamento a San Michele per la conquista dell’Italia meridionale. I lavori ebbero inizio il 27 marzo 1274. La torre, progettata dall’architetto Giordano, di Monte Sant’Angelo, che diresse i lavori insieme con suo fratello Maraldo, è a forma ottagonale e fu completata nel 1282 con un’altezza originaria di 40 metri. In seguito, fu ridotta agli attuali 27 metri (probabilmente a causa di un fulmine o per collocarvi più agevolmente le campane). Il campanile è diviso in quattro piani con arcate cieche a tutto sesto, con cornici variamente ornate. All’interno sono state ricavate tre celle a cupola e un’ultima cella con costoloni ad arco acuto. All’ultimo piano 5 campane si affacciano da quattro aperture ad arco. La campana più grande, la sesta, occupa il centro dell’ottagono e risale all’anno 1666.

Passando accanto al campanile, ci si immette in un ampio piazzale, denominato “Atrio superiore” e delineato a sinistra e di fronte da un colonnato con inferriate. Il prospetto dell’ingresso risale al 1865 ed è costituito da due arcate a sesto acuto, sormontate da un frontone triangolare ornato di fregi. Al centro, in alto, tra due piccoli rosoni, è stata collocata un’edicola con la statua di San Michele Arcangelo. L’ingresso di sinistra è impreziosito da una porta di bronzo istoriata con pannelli che riportano tutta la storia del Santuario, dalle origini fino al pellegrinaggio di Giovanni Paolo II avvenuto nel 1987. In alto, in corrispondenza delle porte, sono collocate due lapidi rettangolari. A destra si legge la seguente epigrafe: Terribile è questo luogo. Qui è la casa di Dio e la porta del cielo. La lapide di sinistra porta incisa un’altra iscrizione. Sono le parole pronunciate dall’Arcangelo nella terza apparizione: NON EST VOBIS OPUS HANC QUAM AEDIFICAVI BASILICAM DEDICARE IPSE ENIM QUI CONDIDI ETIAM CONSECRAVI (“Non è necessario che voi dedichiate questa Basilica che ho edificato, poiché io stesso, che ne ho posto le fondamenta, l’ho anche consacrata”). Sotto ogni lapide si apre un portale ad arco acuto, il più prezioso dei quali, a destra, risale al XIV secolo.

I due portali superiori immettono in un vestibolo dal quale ha inizio la scalinata che porta verso la mistica Grotta. La costruzione di questa magnifica opera risale all’epoca angioina (sec. XIII). E’ costituita da 86 gradini e suddivisa in cinque rampe, interrotte da quattro ripiani; le gallerie sono sostenute da grandi arcate gotiche e da volte ogivali; le pareti laterali sono illuminate da piccole finistre a strombo. Le arcate che corrono lungo le pareti a destra e a sinistra delimitano le sepolture delle antiche famiglie del luogo. La scalinata termina con un portale inquadrato da colonne tortili poggianti su leoni e plinti chiamato tradizionalmente “Porta del toro” (dal grande affresco che lo sovrasta, raffigurante, appunto, l’episodio del toro della prima apparizione). Sotto l’affresco è murata una lapide marmorea in una ricca cornice contenente la seguente iscrizione:

HAEC EST TOTO ORBE TERRARUM DIVI MICHAELIS ARCHANGELI CELEBERRIMA CRIPTA UBI MORTALIBUS APPARERE DIGNATUS EST HOSPES HUMI PROCUM – BENS SAXA VENERARE LOCUS ENIM IN QUO STAS TERRA SANCTA EST (E’ questa la Cripta di San Michele Arcangelo, celeberrima in tutto il mondo, dove egli si degnò di apparire agli uomini. O pellegrino, prostrandoti a terra, venera questi sassi perché il luogo in cui ti trovi è santo.)

Oltre la Porta del toro, ci si trova nell’Atrio inferiore: anello di congiunzione tra la scalinata e l’entrata della Basilica. L’atrio, infatti, si chiude con un bellissimo portale romanico e con le famosissime Porte di bronzo per le quali si accede alla Grotta. Il portale è sormontato da un arco in cui sono incise le parole pronunciate, secondo la tradizione, dallo stesso San Michele al vescovo San Lorenzo Maiorano in una delle apparizioni: Dove si spalanca la roccia, lì saranno perdonati i peccati degli uomini. Questa è una dimora speciale nella quale qualsiasi colpa viene lavata. Le Porte di bronzo, che chiudono il portale, furono realizzate nel 1076 nella regale Costantinopoli, su commissione dell’amalfitano Pantaleone, della nobile famiglia dei Mauroni, che ne fece dono alla Basilica. Costituite da una pesante intelaiatura di legno rivestita di formelle in oricalco (lega di rame, zinco, piombo e argento), appartengono ad un gruppo di opere analoghe, tutte di manifattura bizantina, concentrate tra Lazio e Campania. Tipica delle officine di Costantinopoli è anche la decorazione ad agemina (disegno inciso nel metallo). L’opera è suddivisa in ventiquattro pannelli sui quali sono raffigurati episodi biblici dell’Antico e Nuovo Testamento che vedono protagonisti gli angeli, la storia delle apparizioni di San Michele al vescovo Maiorano ed alcuni momenti della storia della Chiesa dei primi secoli.

In fondo alla Navata angioina, nell’abside, fu collocato nel 1690 un altare in stile barocco per la custodia del Santissimo Sacramento. Tre statue in pietra rappresentano San Giuseppe (al centro), S. Nicola di Bari (a sinistra) e S. Antonio di Padova (a destra). La mensa e il tabernacolo risalgono alla prima metà del 1800. La parte superiore è ornata da un’edicola nella quale, in altorilievo, viene raffigurata la scena dell’Annunciazione.

A sinistra del presbiterio, sotto un baldacchino ligneo sorretto da quattro colonne di marmo provenienti da un altro antico monumento, si trova uno dei più antichi altari della Basilica: quello dedicato alla Madonna del Perpetuo Soccorso. Sopra l’altare, un affresco incluso in una cornice del XVII secolo rappresenta l’immagine della Madonna del Perpetuo Soccorso con ai lati Santo Stefano protomartire e San Carlo Borromeo. L’altare è chiamato anche della Madonna del Suffragio a motivo del privilegio concesso da papa Gregorio XIII (1572 – 1585) di usufruire ogni giorno, pregando dinanzi a questo altare, dell’indulgenza plenaria per i defunti.

Tra la fine del XVI secolo e la prima metà del successivo, l’arcivescovo Domenico Ginnasio (1586 – 1607) fece scavare il fondo della Grotta con l’intento di creare un più ampio presbiterio, consono alla solennità delle messe pontificali. Nel primo decennio del Seicento lo stesso prelato recintò con lastre di rame “…il sasso della sagrata grotta in forma d’Altare sopra del quale furono trovate due vestigie seu pedate, come di fanciullo impresse nella neve…” (Platea, 1678). Collocata nel 1507 sull’Altare delle Impronte, nel cuore della Sacra Grotta, la statua di San Michele Arcangelo, opera di altissima qualità ed immagine archetipa per la devozione, è comunemente attri – buita ad Andrea Contucci, detto anche Sansovino. Scolpita nel marmo bianco di Carrara, misura 130 cm di altezza. Rappresenta il Principe delle milizie celesti in atteggia – mento di guerriero che calpesta satana raffigurato come un mostro dal viso di scimmia, la coscia di capro, gli artigli di leone e la coda di serpente. San Michele ha l’apparenza di un adole – scente, dal volto atteggiato a sorriso. Il capo è ornato da una chioma inanellata a serpentine, a riccioli, a boccoli e a ciocche: un unicum nel suo genere nella storia della scultura. Il braccio sinistro è teso verso il basso. Il braccio destro, sollevato, impugna una spada disposta trasversalmente, in atto di minaccia. La posizione è quella di un soldato (veste, tra l’altro, la corta ed aderente armatura di un legionario romano con un ampio mantello militare) vincitore che, tuttavia, vigila affinché il nemico non possa più essere offensivo. La spada, prelevata dalla mano dell’Arcangelo, viene recata in solenne processione per le vie di Monte Sant’Angelo il 29 settembre.