Cripte

LE CRIPTE LONGOBARDE

La presenza dell’Arcangelo Michele sul Gargano si concretizza particolarmente nella suggestiva e mistica atmosfera della primitiva grotta naturale. Il tempo e le vicende storiche hanno, comunque, inciso profondamente su questo sito religioso sorto su un massiccio solitario e poco ospitale. Attorno alla sede naturale, opportunamente lasciata intatta nella sua genuina e coinvolgente nudità, un complesso di fabbriche adiacenti, risalente ad epoche e committenti diversi, lo hanno reso sempre più e meglio fruibile ed accogliente. Fedeli ed estimatori di varie civiltà ed epoche storiche, inoltre, riconoscendo le alte prerogative e la dignità del più importante fra gli Spiriti Celesti ne hanno abbellito questa sua dimora terrena con donazioni anche molto significative dal punto di vista della storia e dell’arte.

Di conseguenza, un prezioso patrimonio si offre oggi all’ammirazione del devoto e del visitatore, nonostante numerosi saccheggi e spoliazioni patite dal Santuario durante le alterne vicende svoltesi in più di 1500 anni. Tesori del culto micaelico (TECUM) sono la Grotta, le Fabbriche annesse, il Museo Devozionale, il Museo Lapidario, le Cripte Longobarde. Il visitatore ha, dunque, la straordinaria e rara opportunità di ammirare pietre e tavolette di legno custodite con la stessa cura dei gioielli preziosi, di rintracciare i segni di una storia scritta insieme da umili e sconosciuti pellegrini e da potenti re. Una storia che racconta di un amore e di una fede incondizionati verso il Principe degli eserciti celesti.

Di particolare importanza sono le “ricchezze” ultimamente rese fruibili agli studiosi e visitatori che vengono a completare il quadro santuariale d’insieme, presentando visivamente il suo evolversi, sia dal punto di vista del sito architettonico, diretta conseguenza delle vicende storiche, sia da quello delle forme di fede e di devozione nei loro epocali mutamenti.

Gli ambienti delle cosiddette “cripte longobarde” sono tornati alla luce in seguito agli scavi promossi dall’Arcidiacono del Capitolo, mons. Nicola Quitadamo negli anni 1949‑1955 e costituivano il primitivo nucleo dell’opera dell’uomo attorno alla grotta naturale. Essi furono definitivamente abbandonati nella seconda metĂ  del XIII secolo, quando gli Angioini, con le nuove costruzioni, diedero al Santuario l’ attuale assetto “in discesa” per adeguarne l’ingresso al sito poco distante sul quale era sorto il nucleo abitato. Così le precedenti opere furono occultate sotto il nuovo piano di calpestio.

Oggi, riportata alla luce ed alla fruizione, questa galleria di accesso e ricovero di chiara committenza longobarda offre alla lettura quasi duecento iscrizioni tracciate con tecniche diverse tra VI e IX secolo. Il pellegrinaggio, infatti, è un viaggio capace di segnare profondamente chi lo compie, che a sua volta sente la necessità di segnare il luogo che attraversa, lasciando una testimonianza del proprio passaggio.

L’origine dei nomi, seppure in maggioranza di origine semitica, latina e greca, mette in evidenza almeno 97 nomi di origine germanica che confermano l’internazionalizzazione degli arrivi alla montagna garganica, divenuta una tappa obbligatoria lungo la cosiddetta Via Francigena che conduceva i fedeli in Terra Santa. Di particolare rilievo in questo corpus epigrafico sono le iscrizioni in alfabeto runico, tra le più importanti scoperte epigrafiche degli ultimi 40 anni.

Lunghe circa 60 metri, le cripte si sviluppano sotto il pavimento della Grotta e del corridoio di accesso ad essa. Il primo ambiente, di circa 45 m, giunge fino al possente muro di sostegno, sul quale, al livello superiore, è poggiata la Porta di Bronzo. Esso si presenta come una galleria, articolata in otto campate rettangolari, con volta a botte, tra loro comunicanti tramite arconi trasversali che spiccano da grossi pilastri aggettanti dalle pareti laterali. Come prassi per i luoghi di culto, vi si notano appendici riconoscibili chiaramente come celle mortuarie. A tale proposito vale la pena ricordare una tradizione vigente sin dalle origini: nel luogo dell’Angelo, il quale è purissimo spirito, non è consentita la presenza dei cadaveri. Tuttavia i notabili più importanti ed abbienti non rinunciarono comunque alla sepoltura almeno nei pressi della dimora di S. Michele che dalla Bibbia viene identificato anche come Colui che presenta le anime al tribunale di Dio.

 

Museo Lapidario

 

IL MUSEO LAPIDARIO

Nella suggestiva galleria longobarda è ospitato il Museo Lapidario, patrimonio della Basilica,  che raccoglie piĂą di 200 manufatti scultorei di vario tipo provenienti dagli scavi del Santuario e da alcuni monumenti della cittĂ  di Monte Sant’Angelo: l’ex chiesa di S. Pietro, il Battistero di San Giovanni in Tumba, l’abbazia di S. Maria di Pulsano e il complesso monastico dei Celestini.

Il nuovo assetto, realizzato nel 2015, si fonda sui più recenti criteri di museologia che permettono al materiale architettonico-decorativo, per quanto lontano dal proprio contesto di origine, di riacquistare un valore di insieme. L’allestimento è stato pensato per offrire al visitatore un numero cospicuo di reperti, evidenziando al tempo stesso quelli di maggiore rilevanza storica e peculiarità artistiche, in modo da predisporre ad una lettura attenta e coinvolgente.

L’intento è stato quello di mettere al centro del percorso il visitatore, permettendogli di rivivere la storia attraverso i luoghi, che pure non raggiunge fisicamente.

Il Museo Lapidario è un  prezioso deposito aperto al pubblico. La dotazione è organizzata in scaffalature ed espositori e la semplicitĂ  organizzativa consente un’agevole lettura degli ambienti e dei reperti.

Fra i “pezzi” piĂą significativi: lo stemma della CittĂ  di Monte Sant’Angelo dell’anno 1401; diversi elementi architettonici come frammenti di colonne, capitelli ed elementi decorativi a nastri intrecciati; una figura orante del secolo XII e, dello stesso periodo, una Madonna acefala appartenuti alla demolita chiesa di S. Pietro. Dell’abbazia di S. Maria di Pulsano si possono ammirare una base di cero pasquale o di acquasantiera finemente scolpita del XII secolo e una maestosa “fontana lustrale” decorata con scene bibliche. Dal Santuario provengono in particolare una statua di S. Michele del secolo XIV-XV, una Madonna con Bambino del secolo XV, una statua del Redentore variamente datata tra XIV e XV secolo, un architrave con angelo e decorazioni a girali della metĂ  del secolo XI e frammenti di lastra con graffiti dello stesso periodo. Di notevole pregio sono i vari frammenti di un ambone, realizzato dallo scultore locale Acceptus e datato al 1041, fra i quali un’aquila con leggio, dei capitelli e delle travi scolpite.

Passando attraverso una stretta apertura, si accede ad un altro ambiente di epoca longobarda, diviso centralmente in due parti da tre arcate a tutto sesto. A sinistra si trova l’antico ingresso di epoca pre longobarda chiamato “porta di Pietro e Paolo”, come riportato dall’iscrizione sul piedritto che ricorda i due Santi. Sono ben visibili due scalinate: quella di destra, detta “tortuosa”, ad andamento curvilineo e quella di sinistra ad andamento rettilineo, le quali permettevano l’accesso alla Grotta e il deflusso dei pellegrini. In alto, su una piccola platea, è visibile un altare a blocco, detto “delle impronte”, sul quale l’Arcangelo avrebbe lasciato le sue orme. Alla sinistra dell’altare, è stato ritrovato, protetto dalle lastre di pietra, un affresco chiamato il Custos Ecclesiae attribuibile al secolo XI, oggi esposto nel Museo Devozionale.

Museo Devozionale

IL MUSEO DEVOZIONALE

Il Corpus dei Tesori del Culto Micaelico (TECUM) conta tra le sue interessanti attrattive particolarmente il Museo Devozionale, riallestito nel 2008 in ambienti capienti ed idonei, realizzati appositamente. Esso custodisce tutto ciò che oggi appartiene alla Basilica: un tesoro che riconosce lo stesso valore a paramenti, suppellettili liturgiche, tavolette votive, argenti, ori e oggetti d’uso quotidiano e riconosce la stessa dignità di offerenti ai papi e ai fedeli, agli imperatori e ai loro sudditi. Nemmeno i Francesi, i quali razziarono nel 1799 tutto il possibile, riuscirono ad azzerare e distruggere questo prezioso patrimonio di testimonianze di una fede che continuamente si vivifica e si rinnova fra le generazioni e si manifesta con il valore del dono tangibile e duraturo.

L’odierno allestimento disegna un doppio percorso circolare, quasi una spirale. Le suppellettili liturgiche, gli argenti, i paramenti esposti rappresentano tutto quello che resta di una storia di donazioni e spoliazioni, che da un lato vide imperatori, papi, vescovi, re portare doni preziosi e, dall’altro, l’avvicendarsi dei dolorosi saccheggi.

Il primo impatto del visitatore è con gli ex voto e tavolette votive un tempo collocate a perenne riconoscenza lungo le pareti della scalinata angioina. Vi troviamo anche cuori o parti anatomiche in argento indicanti evidentemente quelle risanate. Commoventi nella loro disarmante semplicità sono i dipinti che immortalano il momento cruciale nel quale si è concretizzato l’intervento risolutivo dell’Arcangelo. Sono tutti opera di orafi, pittori ed artigiani per lo più con bottega a Monte Sant’Angelo e paesi vicini.

Si passa poi ad una ricca seria di prodotti in argento, di suppellettili sacre, di pianete, dalmatiche e piviali finemente e riccamente decorati. Di essa attestano la provenienza spesso nomi, scudi araldici, simboli. Nell’attuale Tesoro della Basilica spicca, tra i pezzi antichi, il Reliquiario a croce di cristallo di rocca di manifattura francese o veneziana, il cui primo nucleo risale al XIV secolo. Prestigiosi i nomi dei donatori individuabili tra i quali i re di Spagna Filippo III, Carlo II, Ferdinando II.

I re di Savoia, per sancire il loro diritto di possesso sulla Basilica, riconosciuta fino al Concordato del 1929 come Palatina, cioè di proprietà del re alla stregua del suo palazzo reale, la impreziosirono di una nutrita serie di piviali e pianete in giallo oro, tutte segnate dallo scudo bianco crociato della dinastia.

PiĂą recenti sono il calice e la patena donati da S. Giovanni Paolo II, ultimo Papa pellegrino alla Celeste Basilica nel 1987.

Un altro settore molto variegato ed interessante è quello delle icone orientali per lo più slave, greche e rumene,

Il patrimonio tessile racconta la storia della moda e l’evoluzione delle tecniche di lavorazione della seta durante i secoli nel Meridione e in particolare a Napoli, centro nevralgico di produzione, commercio e scambio culturale.

Importante testimonianza di un culto nato e fondato sulla roccia garganica sono le statue in alabastro o pietra locale raffiguranti San Michele, che hanno dato vita ad una categoria privilegiata: gli statuari dell’Arcangelo, i cosiddetti Sammecalére, che si tramandavano l’arte di padre in figlio. A loro re Ferdinando I d’Aragona, con l’editto del 1475, conferì il privilegio esclusivo della produzione di statue dell’Arcangelo.

Le rappresentazioni  del Celeste abitatore del Gargano mutarono nel corso del tempo. Originariamente l’Angelo trafiggeva con una lancia il demonio, un dragone con bocca spalancata e lunga coda di serpente arrotolata. In seguito, alla lancia si sostituì la spada e il demonio divenne bestia mostruosa, talora con volto umano su imitazione dell’inarrivabile modello che ancora oggi riempie della sua rassicurante presenza la Sacra Grotta

I Sammecalére scolpivano anche statue di altri santi e pupi del presepe in pietra e in legno e la loro abilità elevò ad arte questa tradizione rendendo Monte Sant’Angelo uno dei centri pugliesi più noti.

Di tutti questi variegati manufatti se ne possono ammirare diversi ed interessanti esemplari.

 

Tra gli oggetti di devozione domestica è conservata anche una collezione di statue di santi sotto campane in vetro.

Spiccano, inoltre, le 23 statue di pellegrini in cammino, modellate in cuoio: opera di un artigiano locale, Domenico Palena. Il che rende questo Museo al tempo stesso antico e contemporaneo: una sorta di pinacoteca che va dal Medioevo ai giorni nostri, una galleria di fede e religiositĂ  popolare.

Il patrimonio museale si estende anche a diverse collezioni private di vari settori:

Per la Numismatica si ammira il nucleo superstite di quanto rinvenuto durante la campagna di scavi alla metà del secolo scorso. Di notevole rilevanza sono gli esemplari della Zecca di Costantinopoli, sia quelli dell’età di Leone VI (886-912), sia quelli posteriori.

Per l’Archeologia sono custodite ceramiche di età preclassica e classica databili tra il VI e il I secolo a.C. oltre a pezzi di telaio, punte di lancia e una piccola statua di bronzo, probabilmente raffigurante Mitra.

Esposti anche vasi, bottiglie, orci e boccali in ceramica. La maggior parte di questi manufatti risale alla seconda metĂ  del Novecento e riproduce forme e decorazioni di epoche passate.

La collezione di ori votivi comprende rari esemplari di arte orafa locale, tramandata di padre in figlio. La tipologia dei gioielli e la tecnica dell’incisione attestano la commistione di influenze bizantine, longobarde e arabe, ma anche la fantasia e l’estro degli artigiani che diedero ai loro manufatti un’impronta originale e raffinata.

Tra i pezzi custoditi troviamo la “susta”, tipica collana dell’area garganica, dono nuziale dello sposo; numerosi anelli su cui sono incise figure di santi e sante; le spille varie per forme e decori. Vari sono anche diversi esemplari di orecchini e ornamenti femminili per capelli.

Dal 2015, a impreziosire le pareti esterne della stanza ottagonale che rievoca così la struttura del possente campanile angioino, hanno trovato posto alcuni affreschi che un tempo ricoprivano le pareti della Basilica.

Di particolare pregio è l’affresco del Custos Ecclesiae rinvenuto nelle cripte longobarde. Raffigura un religioso a capo scoperto, con capelli corti, grandi occhi, tunica bianca di cui si intravede il cappuccio ripiegato. Le iscrizioni identificano il personaggio come Leone episcopo e peccatore. Potrebbe trattarsi dell’arcivescovo di Siponto Leone, nativo di Monte Sant’Angelo o del pontefice Leone IX che per tre volte salì in visita al Santuario.

Il pezzo più prezioso di questo Museo è l’Icona in rame dorato di San Michele Arcangelo. Rinvenuta agli inizi del 1900 nella Cava delle pietre, luogo per sua natura capace di passare inosservato durante i saccheggi, l’Icona è probabilmente un dono votivo.

San Michele è ritratto frontalmente con aureola, ha tunica corta con motivi decorativi incisi e ali spiegate. La mano destra è alzata e in origine reggeva, forse, un’asta con la punta rivolta verso il basso; la mano sinistra regge il globo su cui è raffigurata la mano di Dio benedicente alla greca. Il volto tondeggiante ha occhi a mandorla, naso affilato, bocca sottile e lunghi ricci. Sul suppedaneo è incisa l’iscrizione dedicatoria, in cui sono ricordati Roberto e Balduino, due personaggi con nomi di origine franca committenti dell’opera che gli studiosi datano all’ XI secolo per cui essa si pone come la prima immagine dell’Arcangelo attualmente presente nel suo Santuario.